<strong>La Vita di Karma Pakshi ed il suo rapporto con i Khan Mongoli</strong>, Mirabile Tibet

La Vita di Karma Pakshi ed il suo rapporto con i Khan Mongoli

  • by Redazione
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  • 07 Apr 2023
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Dopo undici anni di ritiro a Pungri, quando era sulla quarantina, Karma Pakshi andò a Sud per contribuire alla riparazione di due monasteri vicino al Monte Genyen. I monasteri erano stati danneggiati da dei combattimenti, probabilmente incursioni mongole in lotta contro i Song nella Cina occidentale. 

Dopo circa tre anni, Karma Pakshi andò in missione nel monastero di Karma Gon a nord di Chamdo, fondato nel 1185 dal predecessore Dusum Khyenpa. Karma Gon successivamente acquisì una certa importanza nella storia del lignaggio Karma Kagyu, e divenne poi anche una importante sede amministrativa sotto la Corte Cinese Ming. 

Con la visita di Karma Pakshi nel monastero di Karma Gon, il Karmapa cominciò finalmente ad agire, per volontà del maestro Podramkpa, come vero erede di Dusum Khyenpa, poi conosciuto come il primo Karmapa. Questo ruolo venne rinforzato poi dalla sua visita al monastero di Tsurphu vicino Lhasa. 

Fondato anch’esso da Dusum Khyenpa, Tsurphu divenne la sede storica principale dei Karmapa nei secoli successivi, fino ai giorni nostri. Dopo la morte del suo fondatore, però, esso cadde in degrado, gestito da una serie di abati deboli che permisero anche l’abuso di alcol al suo interno. 

Karma Pakshi viaggiò quindi nel Tibet Centrale e risiedette a Tsurphu per sei anni, diventando così erede di Dusum Khyenpa a tutti gli effetti. La sua fama crebbe sempre più, ed il suo nome arrivò fino all’orecchio di Kubilai Khan, che lo invitò per un incontro. 

Kubilai Khan, nipote di Gengis Khan, a quel tempo, era il comandante dell’armata di Mongke Khan, essendo quest’ultimo il capo dell’Impero Mongolo. Kubilai Khan sentì durante una sua campagna dei poteri mistici e delle visioni di Karma Pakshi, e decise pertanto di invitarlo mandandogli un emissario con una “lettera d’oro”. 

Karma Pakshi aveva dei dubbi se andarci o meno; lui infatti non cercò mai sostegni di tipo politico, ed inoltre poteva ritenere anche particolarmente pericoloso avere a che fare con i mongoli, a causa delle cui incursioni anni prima dovette allontanarsi dal luogo in cui abitava. 

Se alla fine Karma Pakshi si convinse di partire fu per via di alcune visioni che ebbe; come già scritto nei precedenti articoli, infatti, le visioni mistiche furono le principali fonti da cui Karma Pakshi prendeva le decisioni più importanti. In questo caso, egli ebbe una visione di una forma serpentina di Vajrapani e Nanda uniti, e questo aspetto divino gli disse che questo viaggio gli avrebbe permesso di portare a compimento il suo insegnamento. 

Il famoso incontro avvenne nel 1255 nella provincia di Qinghai. Nelle sue memorie, Karma Pakshi racconta di aver istruito Kubilai Khan e le persone a lui vicine sull’insegnamento buddhista fondamentale, come la motivazione del Bodhisattva. La corte di Kubilai Khan dal punto di vista religioso era molto eterogenea. Sua madre era cristiana, ed i consiglieri erano taoisti, buddhisti e praticanti del tengrismo (lo sciamanesimo mongolo). Grazie alla predicazione di Kubilai Khan, il Buddhismo incrementò la propria influenza.

Però, Karma Pakshi non stette molto. Sempre a causa delle sue visioni decise ben presto di lasciare Kubilai Khan. Infatti, egli vide in visione mistica la divinità buddhista Avalokiteshvara, che lo intimò ad andare a causa dei pericoli di guerra e delle gelosie che da lì a poco avrebbe potuto dover fronteggiare. La decisione di lasciare Kubilai Khan adirò quest’ultimo e gli costò molto cara in futuro, come vedremo in seguito.

Karma Pakshi viaggiò verso nord. Andò in vari luoghi, dove creò monasteri, ma in alcuni posti dovette anche fronteggiare degli ostacoli dovuti a praticanti di dottrine avverse. 

Durante il suo viaggio Karma Pakshi attirò le attenzione di Mongke Khan, il vero capo dell’Impero Mongolo. Il suo impero si estendeva dalla Corea all’Europa Orientale (arrivando fino alla Crimea e all’Ungheria). 

Incontrando Mongke Khan, Karma Pakshi si persuase del fatto che la loro connessione derivava da molte vite precedenti. Dusum Khyenpa, il primo Karmapa, raccontava infatti ai propri discepoli di aver vissuto una precedente esistenza in un mondo mitico in cui c’era un Re cattivo. 

A quel tempo, secondo il racconto, il Karmapa si reincarnò come Elefante del Re, e lo uccise calpestandolo per fare in modo che egli potesse smettere di accumulare il suo karma negativo. Nelle sue successive esistenze questo Re divenne discepolo del Karmapa, ed infine si reincarnò in Mongke Khan. 

Inoltre, Karma Pakshi collegò anche a Mongke Khan un’altra profezia fatta da Dusum Khyenpa. Quest’ultimo, interrogato sulle sue future incarnazioni, disse che si sarebbe emanato in molteplici forme: una si sarebbe reincarnata in India, un’altra nel sud del Tibet, e poi ci sarebbe stata un’altra incarnazione che sarebbe avvenuta per il beneficio di un discepolo. Karma Pakshi fino all’incontro con Mongke Khan non aveva chiaro il significato di quest’ultima incarnazione, poi comprese che in realtà era la propria e che quel discepolo a cui si riferiva era proprio il Khan mongolo. Infatti, trattandosi di un imperatore, beneficiando una persona in realtà ne avrebbe beneficiate molte altre. Questa profezia convinse Karma Pakshi dell’importanza della sua missione di conversione al Buddhismo dell’imperatore mongolo. 

Cosa accadde poi?

Come Kubilai Khan, anche Mongke Khan si circondava di un ambiente molto plurale dal punto di vista religioso. Divenne celebre la sua opinione, fatta recapitare da un missionario al Re di Francia, che Dio ci ha dato molte religioni come diverse dita di una stessa mano. Da un lato, questo pluralismo poteva anche avere una funzione politica unitaria e riconciliatrice; dall’altro però è certo che questo innescava un certo meccanismo di competizione su quale religione riusciva ad attirare maggiormente le attenzioni imperiali. 

Secondo le memorie di Karma Pakshi, quando avvenne il primo incontro con l’imperatore ci furono potenti fenomeni meteorologici come meteoriti e fulmini, segni dell’attività di divinità locali e spiriti. Alla fine dell’incontro tutto si calmò con meravigliosi arcobaleni, segno che le forze della natura erano state soggiogate dalle Divinità buddhiste rappresentate dal Karmapa. 

Durante questo incontro Mongke Khan, che era più interessato ai poteri spirituali che venivano attribuiti al Karmapa che al Buddhismo, gli fece la richiesta di eliminare magicamente gli ostacoli alla sua attività. Il Karmapa gli rispose che avrebbe riflettuto sulla sua richiesta quella notte, e al mattino seguente gli diede le sue indicazioni in versi: 

“Invero, in questo mondo imperfetto,

Non ci sarà mai un Re come Voi,

Qualunque cosa gli astrologi possano aver detto. 

Io stesso – Karma Pakshi – 

Cercherò di eliminare i vostri ostacoli. 

Beneficiate l’insegnamento del Buddha e tutti gli esseri, 

Distribuite cibo e ricchezza in tutto il regno, 

Riparate le residenze dei Lama,

e fate offerte al Cielo senza senso di perdita.

Ancora e ancora Io vi chiedo di liberare

I prigionieri detenuti nelle prigioni”. 

In altri termini, Karma Pakshi chiese all’Imperatore di iniziare un piano di amnistia sul piano giuridico, di riforme sociali e di sostegno economico alla religione buddhista, quali condizioni necessarie affinché l’Imperatore possa vedere realizzata la propria richiesta. 

Colpito dal potere spirituale di Karma Pakshi e desideroso di sfruttarlo per avere maggiore fortuna e successo nella sua attività politica, Mongke Khan seguì le indicazioni di Karma Pakshi e addirittura prese i voti buddhisti per un mese. Ricevette inoltre le iniziazioni tantriche dal Karmapa e le pratiche yogiche ad esse associate. 

Questo, ovviamente, non rese Mongke Khan un “santo” da un punto di vista moralistico occidentale. In realtà, egli continuò ad essere un imperatore sanguinario, ed in qualche modo non considerò in contraddizione la sua indole guerriera con la pratica del Buddhismo. 

Grazie a Karma Pakshi avvennero – secondo le sue memorie – tredici amnistie. Ci furono molte riparazioni di monasteri e Stupa buddhisti, e vennero commissionate molte statue di Divinità buddhiste. Inoltre, Karma Pakshi portò delle influenze vegetariane e animaliste nella corte mongola, per lo meno per un periodo limitato (Mongke Khan ordinò di non uccidere animali per undici mesi). 

E’ probabile che Karma Pakshi avesse delle inclinazioni vegetariane – che è anche una delle ragioni che ha portato il presente diciassettesimo Karmapa Orgyen Dorje a giustificare qualche anno fa l’imposizione della dieta vegetariana nei suoi monasteri – ma è comunque risaputo che il vegetarianesimo non è mai stato molto diffuso nel Buddhismo Tibetano. E’ probabile quindi che ad influenzare Mongke Khan siano stati anche altri operatori religiosi della sua corte, taoisti o di altre tradizioni buddhiste. 

Dopo qualche tempo, la natura guerriera del grande Khan tornò ad emergere, ed iniziarono i preparativi della Guerra per la conquista della Cina meridionale, cominciata da suo nonno Gengis Khan 30 anni prima. Così Mongke Khan dopo essere andato a onorare – probabilmente assieme a Karma Pakshi – i luoghi della vita di suo nonno, partì infine per la battaglia nel 1258. L’armata mongola era composta da ben 300 mila soldati. 

Karma Pakshi ovviamente non lo seguì e decise di proseguire la sua attività missionaria altrove, sempre accompagnato dalle sue esperienze visionarie. Andò nell’attuale Xinjiang, soggiornando in diversi luoghi nell’arco di diversi mesi. 

Poi più avanti si rincontrò con Mongke Khan nell’area di Xi Xia poco prima del ritorno del Karmapa in Tibet. Karma Pakshi diede all’imperatore l’iniziazione di Heruka, e gli chiese di sponsorizzare i propri progetti spirituali. Quindi Mongke Khan diede a Karma Pakshi una quantità molto alta d’argento, che secondo la leggenda servì a sponsorizzare “tremila progetti”. 

Nelle memorie di Karma Pakshi, Mongke Khan era considerato un sovrano universale, un chakravartin, ed il rapporto che si creò tra loro era il rapporto tra patrono e prete, che divenne poi tipico nella storia dei secoli successivi tra gli imperatori cinesi ed i più importanti Lama tibetani.