IL BUDDHISMO TIBETANO SECONDO GIUSEPPE TUCCI, Mirabile Tibet

IL BUDDHISMO TIBETANO SECONDO GIUSEPPE TUCCI

Giuseppe Tucci è stato uno dei più grandi orientalisti al mondo. Profondo conoscitore della Cina e del Tibet, i suoi saggi sono ancora libri di testo importanti dove apprendere le verità sulla storia del Buddhismo.

Il Buddhismo tibetano, meglio conosciuto come Lamaismo, penetrò nel Tibet nel VII sec. a.C. dall’Asia Centrale, dalla Cina, dall’India. Si distinguono in esso due parti che non si contrappongono ma si completano: la speculativa e la gnostica; la prima è l’introduzione teorica, la seconda l’effetto, l’esperienza mistica; iter meditativo quella, pratica ascetica yoga ed esoterica questa; due rami di un medesimo tronco.

Non è facile ad intendere il Buddhismo tibetano, perché la terminologia non sempre può tradursi in modo adeguato nel nostro linguaggio filosofico; la via della gnosi è complicata esperienza: introspezione, autoallucinazione, drammi interiori che coinvolgono la vita psicosomatica dell’individuo.

È dunque il Buddhismo del « Grande Veicolo » o soprattutto del Veicolo di Diamante (non del Piccolo Veicolo) quello che percorse trionfalmente l’Asia dall’Iran, che vi introdusse elementi nuovi, alla Cina, al Giappone; religione forse oggi in risveglio nel declinare di altre soffocate da un conformismo svuotato di un concreto e vivificante contenuto spirituale. Anzi il Buddhismo da segno di nuovo vigore e ripresa non soltanto in Giappone ma in Europa e soprattutto in America. Difficile è seguire la via meditativa, più difficile descrivere i vari momenti che si succedono nella vita dell’iniziato, in progressivo transfert dalla persona umana ad un piano transumano indefettibile e indefinibile. Lo scopo è per tutti quello di diventare Buddha, ma si può rinunciare a questo definitivo salto di piani per restare nella vita, esempio edificante e redentore delle virtù con lo scopo di guidare gli altri alla salvazione. Il nostro corpo è un mezzo necessario alla redenzione: i cinque componenti materiali di cui è il risultato si trasformano nei cinque Buddha supremi, ma anche nelle cinque passioni innate in noi. Le complesse meditazioni consistono nell’attuazione di piani diversi, in liturgie in cui la donna è una partner indispensabile, come lo è in molte scuole tantriche, ma per conseguire l’innata, indefinibile unità primordiale, al di là di ogni definizione od espressione verbale.

Vita ascetica e solitaria da una parte e vita monastica dall’altra, la quale ultima da origine alle grandi istituzioni monacali che sono gigantesche potenze economiche e politiche. Ma il popolo non dimentica le sue deità autoctone, il culto dei monti e del cielo, che si inseriscono in virtù della tolleranza del Buddhismo nell’olimpo immenso di questa religione; che sembra adorare molti dèi, eppure tutti li considera come vacue esperienze, simboli fugaci suscitati dal « vuoto » in virtù della nostra ima-ginazione non controllata; quindi speculazioni ardite e sottili, anticipazioni meravigliose delle conquiste della psico-analisi si sovrappongono a riti e costumi primitivi, a quella che l’autore definisce « religione popolare » la quale a sua volta eredita credenze e miti dalla multiforme religione primitiva (Bon) varia da regione a regione, da clan a clan, ma sostanzialmente magica.

In questo fondo magico, archetipo mai dimenticato dal Tibetano, si innesta tramutandolo in simbologia o in visione o in atti liturgici il Lamaismo che si propone di trascendere il visibile ed il pensabile in un Nulla-Tutto.