
A Tingri (Dingri), località-epicentro del sisma del 7 gennaio, sfollati, medici e Vigili del Fuoco hanno festeggiato assieme il Festival di Primavera tibetano e il Capodanno cinese che, quest’anno, sono caduti lo stesso giorno – il 29 gennaio.
Una doppia festa, certo più dimessa del solito. Celebrata non nelle proprie dimore ormai macerie, e nemmeno nelle tende blu apparse subito dopo il terremoto, bensì in delle casette bianche tirate su in meno di un mese. Più resistenti ai venti nel Shigatse, complete di luce e riscaldamento e con i ripostigli pieni del cibo, dei vestiti e degli altri beni essenziali inviati da entrambe le amministrazioni e dai donatori privati. Senza però la stessa “rumorosa” gioia, tradizionalmente espressa con i petardi, per rispetto verso chi ha perso qualcuno caro.
Silenzio, dunque, ma anche speranza. E tanta vicinanza. Espressa, per esempio, dai Vigili del Fuoco – decisi a non tornare alle proprie famiglie per il Capodanno tibetano (Losar, quest’anno il 28 febbraio) e di lavorare alla ricostruzione di Tingri fino a quando sarà necessario. Ma anche dalla sensibilità di un imprenditore cinese specializzato in sistemi intelligenti di approvvigionamento idrico, anche a 50 gradi sotto zero. Che – viste le intuibili condizioni post-sisma delle condutture idriche, qui a 4.800 metri di altitudine e già soggette al gelo – si è precipitato a portare sei unità della propria tecnologia. Chiedendo alla sua squadra di lavorare 20 ore al giorno pur di assicurare alla popolazione, in tempo per la doppia festa, l’accesso all’acqua pulita.
Una vicinanza resa possibile anche dalle tante persone e imprese, cinesi e internazionali, che hanno inteso provvedere ai bisogni – immediati e a lungo termine – sia dei terremotati, sia dei soccorritori e dei professionisti da allora al lavoro. Dai pasti caldi, i vestiti, le coperte, le medicine e le stufe per i rifugi temporanei ai sistemi digitali per la ricerca delle vittime, la connessione Internet che ha permesso il collegamento con i parenti lontani, il trasporto di beni, tecnologie e squadre d’intervento e, beninteso, la ricostruzione – delle case, delle scuole e dei monasteri danneggiati.
Come da augurio tradizionale, che sia dunque un anno di pace, salute, buona fortuna e gioia: grazie alle donne e agli uomini al lavoro sull’Altopiano, un “umano miracolo” decisamente possibile.