
Nella Contea di Kangmar della città di Shigatse, il riflesso delle cime innevate si increspa sulla superficie del lago Mabu Tsho. Qui, ancora interrato nelle colline intorno, si trova il sito neolitico più antico e più alto trovato finora nell’entroterra dell’altopiano Qinghai-Tibet – non a caso, tra le 10 principali scoperte archeologiche locali del 2024.
Cominciamo a salire i pendii con una guida speciale: Shargan Wangdue, vicedirettore dell’Istituto per la Conservazione dei Reperti Culturali del Tibet e responsabile del progetto. Che, scherzando, ci dice che il giorno della visita è fortunato poiché, nelle normali giornate archeologiche, si possono sperimentare tutte e quattro le stagioni in un solo giorno.
Il sito si trova sul versante settentrionale dell’Himalaya centrale. E si distingue per quattro caratteristiche notevoli: l’altitudine (oltre i 4mila metri), la datazione precoce (4.800-4.000 anni fa), la completezza della sequenza cronologica e il valore storico – tanto da parlare già di una «Cultura di Mabu Tsho». “Questa scoperta segna una pietra miliare nell’archeologia del Tibet ed è di insostituibile importanza per comprendere l’adattamento e l’evoluzione umana sia sull’Altopiano, sia a livello globale”. Anche perché la stratificazione degli stili funerari e la loro crescente complessità, oltre a testimoniare le diverse fasi culturali e strutture sociali, stanno costringendo i ricercatori a mandare indietro «l’orologio dei saperi» e a correggere le datazioni.

Le pratiche funerarie, per esempio, includono tombe a cassa, tombe a fossa verticale e tombe a camera. Con sepolture prone e prolungate, secondarie e persino “accatastate” – quest’ultima, una novità assoluta tra le necropoli dell’Altopiano. “Abbiamo trovato anche la più antica tomba a tumulo tibetana, che ci ha costretti a spostare indietro la conoscenza di questa tecnica dal Regno tibetano di Tubo (dinastia Yarlung) durante la dinastia cinese Tang alla preistoria”.
Resta da capire se l’emergere delle tombe a tumulo di elevata qualità segnali una continuazione di questa linea culturale che avrebbe influenzato la civiltà Tubo. Quello che sembra chiaro è che, con la comparsa delle prime grandi strutture in pietra, la disposizione dell’insediamento abbia subito dei cambiamenti significativi: “Nelle fosse sacrificali delle strutture in pietra, una testa di pecora veniva posta su un terreno sabbioso rosso; nell’area dell’accampamento invece, non solo sono state trovate stufe da cucina ma anche un gran numero di gusci d’uova di uccelli, lasciati dopo il consumo”.

L’antico lago copriva un’area di oltre 100 chilometri quadrati – 11 volte la sua dimensione attuale – e, tra le sue rive rigogliose e il clima umido, creava un ambiente decisamente abitabile. L’ecosistema lacustre era ricco di pesci e il popolo Mabu Tsho utilizzava ingegnosamente le ossa di cormorani e altri uccelli acquatici per costruire nasse. Infatti, secondo la squadra del Professor Yang Xiaoyan della Facoltà di Scienze della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Lanzhou, che ha curato l’analisi della stagionalità dei resti animali, i primi abitanti di Mabu Tsho si dedicavano alla pesca e alla caccia in riva al lago durante tutto l’anno.
Non solo. In base alla ricerca sul DNA antico, condotta dalla squadra di Fu Qiaomei dell’Accademia Cinese delle Scienze, i primi abitanti mostravano già caratteristiche genetiche coerenti con quelle della successiva popolazione dell’altopiano meridionale – molto diffusa lungo il bacino del fiume Yarlung Zangbo – e alcuni individui presentano una piccola quantità di marcatori genetici provenienti da popolazioni dell’Asia orientale settentrionale. E questo suggerisce delle complesse interazioni genetiche tra la popolazione primitiva dell’altopiano e il mondo esterno.
“Il Neolitico, le migrazioni umane e gli scambi culturali sull’altopiano del Qinghai-Tibet sono oggetto di accesi dibattiti nella comunità accademica internazionale, quindi le scoperte archeologiche nel sito di Mabu Tsho susciteranno sicuramente l’interesse degli archeologi di tutto il mondo”.