
Più di un millennio fa, i pastori tibetani della oggi cittadina di Tsakha nella prefettura di Ngari – culla dell’antica religione Bön e “casa” dei due luoghi sacri anche per i pellegrini indù, il monte Kailash e il lago Manasarovar – avrebbero raccolto il sale dallo stesso lago e l’avrebbero trasportato caricandolo sugli yak e sulle pecore. Viaggiando anche per due o tre mesi sulla leggendaria ‘Via del sale e delle pecore’ (Salt-and-sheep route) e affrontando mille difficoltà, fino a Shigatse e persino fino all’India o il Nepal, per scambiarlo con cereali, panetti di tè e stoffe. Oggi, il trasporto avviene su ruote – mentre la raccolta, una volta unica fonte di sopravvivenza, si è trasformata in un lavoro per il piacere della tradizione e in una fonte di reddito complementare.
Il 74enne Tsering Samdrub ha cominciato a vivere del sale quando aveva 16 anni. Usando delle corna di montone per spalarlo dal lago e caricandolo sulle pecore: “Nelle giornate buone, potevo scambiare un chilogrammo di sale con un chilogrammo di grano ma, quando la fortuna non era dalla mia parte, ci volevano due chilogrammi di sale per uno solo di cibo”. E la saggezza degli antenati per sopravvivere.

Nel 2018, con un investimento di oltre 3.65 milioni di yuan (più di 436mila euro), la municipalità locale ha costruito un impianto di lavorazione del sale grezzo dotandolo di tutta l’apparecchiatura necessaria, un trasportatore a nastro, un essiccatore ad aria calda e tre macchine per l’imballaggio. Così, dalla lavorazione alla vendita, una piccola vera industria poteva ormai nascere – senza, però, abusare del lago. Continuando, pertanto, a raccogliere a mano e permettendo al sale di rinnovarsi naturalmente ogni anno, con zero impatto sul sistema ecologico.
Ebbene, dal 2019 al 2024 questo luogo ha venduto 870 tonnellate, creato un fatturato di quasi 508mila euro, ottenuto un profitto netto di oltre 332mila euro e generato stipendi di oltre 138.6mila euro per i 593 raccoglitori stagionali. Che, nel frattempo, ricevono altri 2.390 euro all’anno come sussidi governativi e dividendi locali per la creazione dei pascoli in una zona che soffre ancora di aridità.
Dalla necessità alla voglia di farlo, nonostante la fatica. Sapendo, ogni autunno, di portare avanti soltanto un’antica tradizione e non più un fardello.