
Quasi tutti i cavalli nel mondo hanno sangue arabo, mongolo o altro: quelli tibetani, no. Nati qui, tendono a essere più piccoli degli altri – abbastanza da sentirsi chiamare “pony” – ma anche più forti e resistenti, adattati come sono alle altitudini, il freddo e i terreni particolarmente difficili dell’Altopiano. Dove, da migliaia di anni, sono pertanto un simbolo di equilibrio tra gli altri elementi (legno, acqua, terra e fuoco), di eroismo, di guida paterna nei viaggi lontani, vitalità, forza spirituale e buona fortuna. Tutto riunito nell’immagine del ‘Cavallo del Vento’ (Lungta), a volte dipinto sulle bandierine di preghiera, e che incarna i due concetti-chiave del Buddhismo tibetano: il Dharma (gli insegnamenti) e la Sangha (la comunità).
Meriti e Bellezza dunque, ricordate e onorate ogni anno durante i Festival equestri tibetani che, nei giorni stabiliti dal calendario annuale, riuniscono allevatori e pastori nomadi da tutti gli angoli della regione.

Questo settembre, come ogni anno da ben 6 secoli, nella Contea di Gyangtse è stato il turno del Festival Dama – nella lista del patrimonio culturale immateriale dal 2008 e celebrato, oltre alle gare a cavallo, con competizioni di tiro con l’arco, danze tradizionali e spettacoli di Opera tibetana. Una festa di 5-7 giorni aperta dai tamburi di benvenuto, che quest’anno ha schierato ai blocchi di partenza 60 cavalli e diverse squadre locali di “scuola” antica. Come quella degli Eroi di Gyantse (a evocare i cittadini, anche non soldati, che hanno resistito all’invasione britannica del 1904), degli Ongkor (grandi arcieri, discendenti della gente Solon), dei coltivatori di orzo tibetano (nel frattempo, arrivato nello Spazio) o dei pastori, che hanno portato al festival anche oggetti di artigianato etnico e antichi canti popolari – ancora accompagnati dagli strumenti tradizionali.

Un arcobaleno di etnie, usi, costumi, suoni, colori e sapori. Sempre ricchissimo ma mai uguale che, sensibile alla tradizione ma anche alle “novità” di anno in anno sull’Altopiano, ogni volta riesce a stupire residenti e ospiti di tutto il mondo.

Come un altro famoso Festival, quello di Nagqu. Nato dall’antico addestramento militare tibetano e da alcuni rituali religiosi, considerato la maggiore “vetrina” della cultura nomade del Nord Tibet perciò patrimonio UNESCO dal 2024, e che questo inizio settembre ha contato 13 competizioni e 2 spettacoli di acrobazie a cavallo.

Famiglie intere in tende su un’enorme prateria ancora verde, giovani pastori cresciuti a dorso di cavallo che si confrontano in gare di abilità, coloratissimi abiti tradizionali per tutti, musiche, danze, cibo tradizionale e un mercato all’aperto di gioielli fatti a mano e coperte di lana di yak, senza dimenticare le attrezzature e gli ornamenti per i cavalli: in poche parole, un’esperienza imperdibile.
Parlare del Tibet e dei suoi cavalli… è parlare del Tibet e della sua anima.