
«Mapam Yumtso» in Tibetano, «Manasarovar» in Sanscrito, questa distesa d’acqua fresca, dolce, pura e limpida a oltre 4.500 metri di altitudine, profonda oltre 90 metri e trasparente fino ai 14, è un luogo sacro almeno dall’anno 1000 a.e.v. Legato a Brahma, che lo avrebbe creato dalla sua mente per i suoi figli, e alla regina Maya, che qui avrebbe fatto il suo bagno purificatore prima di concepire il Buddha Shakyamuni.
Così, per 90 tibetani diventati rangers e guardiani, mantenere la sua sacralità è oggi una missione di vita. A difesa delle 411 specie di piante e 157 di animali che rendono la biodiversità della zona davvero ragguardevole per queste altitudini ma, soprattutto, della purezza di quest’acqua nata dai ghiacciai intorno, principalmente dell’altrettanto sacro Monte Kailash, e dall’aiuto delle sorgenti sotterranee, dei ruscelli e delle piogge. A nutrire – direttamente o indirettamente – i fiumi Sutlej (uno dei cinque più lunghi affluenti dell’Indo), l’Indo stesso, il Brahmaputra (nella parte tibetana fin dalla sorgente, Yarlung) e Karnali (il fiume più lungo del Nepal). Quindi, la vita per due terzi della popolazione asiatica.
Un lavoro non facile visti l’altitudine, l’estensione dell’area da “pattugliare” ogni giorno, gli effetti del cambiamento climatico (dal rapido scioglimento dei ghiacciai alle variazioni nelle precipitazioni) e alcune umane abitudini. Tant’è che negli zaini dei guardiani, oltre al binocolo, al taccuino per le annotazioni, agli strumenti per l’eventuale salvataggio degli animali in difficoltà e a un po’ di cibo e acqua, ci sono sempre i sacchetti per raccogliere i rifiuti dei turisti. Che peraltro, prima dei divieti introdotti nel 2018 – compreso quello di balneazione, nonostante rituale antico – lavavano persino le loro macchine nel lago.
Impronta ecologica zero, dunque. Inclusi la fotografia con il flash, i rumori che potrebbero spaventare la vita selvatica, il nutrimento degli animali in stile “noccioline allo zoo”, lo scrivere sulle rocce in stile “Gigi è stato qui” e la raccolta di piante – anche perché, nonostante la presenza di diverse erbe officinali usate dalla Medicina tradizionale tibetana, alcune potrebbero non fare benissimo alla salute. Senza dimenticare, dal vestirsi e il mangiare al comportarsi, il rispetto per gli usi, i costumi e le fedi altrui, in un luogo ancora oggi di importanti e molto sentiti pellegrinaggi buddhisti e induisti.
Come dicevamo, una missione di vita. E anche un testimone – che si spera le nuove generazioni vogliano portare avanti. A mantenere puro il lago e, il riflesso del Kailash nelle sue acque, eterno.