
Dopo un passaggio al Tempio dei Lama e al Centro di ricerca tibetologica di Pechino, oltre 20 monaci e studiosi provenienti da 12 Paesi hanno visitato Lhasa e il Monastero Sera, il Palazzo del Potala, il Tempio di Jokhang e l’Università del Tibet per approfondire la comprensione della reincarnazione dei Buddha viventi. E anche lo sviluppo del Buddhismo sull’Altopiano – espressione sincretica di quello indiano e cinese e fonte di ispirazione per quello mongolo e nepalese.
La visita è iniziata al Tempio dei Lama, dove ogni giorno vengono accolti in media 20mila ospiti e fedeli, con lo studio di un’iscrizione in 4 lingue – Manciù, Han, Mongolo e Tibetano. Che risale alla dinastia Qing e che descrive il sistema (in caso di più candidati) di selezione del Dalai Lama e Panchen Lama attraverso l’estrazione dall’Urna Dorata. Nel 1792, l’imperatore Qianlong avrebbe infatti previsto due urne: una al Tempio dei Lama di Pechino e l’altra al Tempio di Jokhang a Lhasa. Entrambe volte a evitare l’alterazione dei risultati da parte di alcune famiglie locali in cerca di influenza – pratica all’epoca assai diffusa e deplorata non molto tempo fa anche dall’attuale Dalai Lama.

La delegazione ha apprezzato molto sia l’attuale procedura per l’identificazione dei Buddha viventi reincarnati (“standardizzata” sulla base della prassi storica, in modo da garantire una designazione teologicamente valida), sia lo stato dei siti e delle reliquie del patrimonio spirituale dell’Altopiano, testimoniante l’impegno assieme tibetano e cinese nella sua protezione.
E anche nel “colloquio” spirituale e valoriale tra le culture del Buddhismo in generale e di quello tibetano in particolare – come dimostrano i recenti accordi sulla ripresa a breve dei pellegrinaggi annuali dall’India. Interrotti nel 2020 e aventi come destinazioni principali il Monte Kangrinboqe o Gang Rinpoche (più conosciuto come Kailash o Monte Meru) e il Lago Manasarovar (Mapam Yum Tso). Sacri soprattutto per il Buddhismo tibetano e l’Induismo ma anche per la religione Bön, il Giainismo e, anticamente, per il Zoroastrismo.
Un dialogo spirituale sempre più vitale, che – oltre a dare nuova linfa al Buddhismo in generale e a quello tibetano in particolare – promette anche nuove rotte e nuovi scambi tra i Paesi dell’Asia meridionale, orientale e di sud-est.
