
Cosa c’entrano i fossili di ostriche e la pastorizia con il riscaldamento globale? Ebbene, i primi hanno appena rivelato che l’aumento delle temperature non sarebbe un trend costante. La seconda, che un certo modo di farla potrebbe ridurre di molto le emissioni di due gas serra che contribuiscono in maniera significativa ai cambiamenti climatici.
Come gli anelli degli alberi, le “bande di crescita” delle ostriche indicano la loro età. Ma non solo: questi strati concentrici di carbonato di calcio registrano le oscillazioni del clima al momento della loro formazione (più larghi e di colore chiaro con temperature alte, più sottili e scuri con temperature basse). Così, una squadra internazionale è andata a vedere cosa avevano da raccontare i fossili di ostriche dell’altopiano Qinghai-Tibet e del Madagascar risalenti a 140 milioni di anni fa, quando – grazie al clima caldo, simile alla “serra” – a prosperare erano i dinosauri. Scoprendo delle notevoli variazioni stagionali nelle temperature: come sintetizzato da uno dei ricercatori, “una sinfonia di calde melodie punteggiate da note glaciali”. Nessuna tendenza costante dunque, bensì fluttuazioni tra periodi caldi, quando le acque dei ghiacci sciolti facevano innalzare gli oceani, e periodi freddi, che permettevano alle calotte e ai ghiacciai di riformarsi.
Da questo primo studio, compiuto da ricercatori provenienti da quattro Paesi (Cina, Germania, Gran Bretagna e Madagascar), anche altre due conclusioni: che gli eventi glaciali di 140 milioni di anni fa potrebbero dipendere dall’attività vulcanica e dagli spostamenti di allora dell’orbita terrestre; e che – più che aumentare costantemente le temperature – i gas serra contribuiscono alla maggiore frequenza dei fenomeni meteorologici estremi.
Due in particolare, i più presenti dopo l’anidride carbonica sull’altopiano Qinghai-Tibet: il metano (CH4) e l’ossido di diazoto (N2O). All’attenzione dell’Istituto di Ricerca sull’Altopiano tibetano dell’Accademia cinese delle Scienze che, oltre alla neutralità carbonica, sta studiando anche quella climatica – cioè di tutte le emissioni nocive. Scoprendo che i serbatoi di carbonio nelle foreste e nelle praterie della regione compensano completamente le emissioni annuali di CO2 fossile, notizia che premia gli enormi sforzi di afforestamento degli ultimi tre anni. Cosa più importante, trovando una soluzione per la riduzione in maniera significativa dei due gas serra: la pastorizia sostenibile, meglio ancora se accompagnata dal miglioramento della dieta e della salute degli animali.
Infatti, l’altopiano Qinghai-Tibet è la zona pastorale più elevata al mondo, dalla quale dipendono più di 40 milioni di capi di bestiame (principalmente pecore e yak) e 5 milioni di persone. Che significano pascolo, letame, agricoltura e nuove piccole industrie – inclusa quella dei fertilizzanti organici – senza dimenticare rifiuti e combustibili: cioè, emissioni di metano e ossido di diazoto.
Due studi, due preziose indicazioni. Che aiuteranno ad affrontare meglio (e mitigare) gli effetti dei cambiamenti cimatici e a trovare – come per le “pecore fotovoltaiche” dell’altopiano – un diverso equilibrio tra attività umane e Natura.