I NUOVI SPAZI DELL’ARTE CONTEMPORANEA TIBETANA

I NUOVI SPAZI DELL’ARTE CONTEMPORANEA TIBETANA, Mirabile Tibet


Quest’anno, a Lhasa, lo storico tempio Jebumgang ha accolto la prima mostra personale nelle sue terre natie dell’artista tibetano Gade. Una mostra che ha ripercorso i suoi 40 anni di lavoro, riconosciuto in tutto il mondo e che combina la tradizione tibetana e le tecniche di pittura dei thangka all’iconografia Pop occidentale.

Una scelta non casuale in un luogo non casuale. Perché parliamo di una “rinascita” in corso in tutta la Regione e il cui cuore è proprio il vecchio tempio – oggi, Jebumgang Art Center. Cioè, il primo spazio culturale pubblico tibetano creato adattando un edificio storico, in una città nella quale un numero crescente di strutture tradizionali e industriali, lasciate in rovina per decenni, viene riconvertito in spazi culturali, Centri d’Arte e musei.

Costruito nella seconda metà del XIX secolo nella tradizionale struttura dei mandala tibetani, il tempio ospitava uno stupa di cinque piani che conteneva 100mila piccole sculture in argilla di Tsongkhapa – fondatore della Scuola Gelug. Al piano inferiore, una sala principale quadrata e, sopra, nove santuari: uno centrale, più grande, che ospitava tre statue di Buddha; ai quattro angoli, i santuari a forma di torre dedicati ai Quattro Re Celesti che si ritiene veglino su ogni punto cardinale; infine, tra queste torri, quattro cappelle più piccole.

La cosa più interessante erano, però, i suoi affreschi: un esempio eccezionale della pittura tibetana di fine XIX secolo con, allo stesso tempo, un profondo significato “pratico”. Infatti, il tempio fu costruito durante il periodo della rivalità tra Gran Bretagna e Russia per l’influenza (commerciale ma non soltanto) nel Tibet – così, il governo locale decise di incorporare negli affreschi delle sequenze rituali di “difesa spirituale”. Purtroppo, niente riuscì a impedire l’invasione britannica di Lhasa nel 1904 e l’edificio, completamente distrutto a eccezione del piano terra, divenne prima una sotto-stazione elettrica, poi un magazzino, infine un alloggio: per l’architettura e gli splendidi affreschi del tempio stava cominciando un’era di abbandono e deterioramento.

Un secolo dopo, alla fine del XXmo, studiosi orientali e occidentali cominciano a riconoscere il valore della struttura ma è solo nel 2017 che l’amministrazione locale di Lhasa decide di finanziarne il restauro. Nel 2018, le autorità incaricano un’impresa culturale di trasformarlo e, a luglio 2021, il nuovo Centro d’Arte apre (gratuitamente) al pubblico. Ospitando da allora diverse mostre, eventi e programmi che fondono tradizione e contemporaneità.

I NUOVI SPAZI DELL’ARTE CONTEMPORANEA TIBETANA, Mirabile Tibet


Come nel Museo d’Arte del Tibet, creato sempre a Lhasa in una fabbrica di cemento abbandonata riconfigurando volumi, dimensioni e materiali in modo da dare vita a una sala espositiva, un’area per le esperienze interattive, uno spazio per gli artisti e un mercato d’Arte. Un’opera di eccellenza ingegneristica a un’altitudine di 3.700 metri, riconosciuta a livello internazionale, che da due anni rende questo Museo la “finestra culturale” più alta al mondo sulla civiltà tibetana e himalayana.

O come nel Centro d’Arte Contemporanea Weland, la prima istituzione privata tibetana nel suo genere, costruito sull’isola di Xianzu (famosa per i suoi tramonti) lungo il fiume Lhasa e che – oltre alle sale espositive e a un palcoscenico – ospita uno studio nel quale i giovani artisti vengono invitati a creare le loro opere integrando le proprie prospettive con il patrimonio culturale e i paesaggi tibetani. Soprattutto, che guida i visitatori in una diversa esperienza. Grazie alla quale si scopre che, tra le 77 finestre del Centro, nessuna ha la stessa forma e che, con il variare della luce durante il giorno, opere ed emozioni cambiano; oppure che, in cima alle quattro colonne del corridoio, ad “arredare” l’illuminazione ci sono dei campanelli di solito appesi al collo degli yak. Dettagli legati alla cultura popolare, impatto ambientale minimo, alimentazione a energia solare e un uso dei materiali locali che hanno già portato a questo Centro un premio italiano di design.

Spazi recuperati e “reinventati”. Grazie ai quali la gente tibetana può vedere un altro lato del mondo e il mondo può scoprire un altro lato del Tibet. Antico, certo, ma vitale.