
Dopo mesi di studi e ricerche, è arrivato l’annuncio ufficiale: l’iscrizione nella roccia trovata nella Prefettura tibetana di Golog, sull’altopiano del Qinghai-Tibet, risale alla dinastia cinese Qin (221-206 A.E.V) e, considerata l’altitudine di circa 4.300 metri, è la più alta del periodo.
La datazione e l’attribuzione sono state possibili grazie all’analisi della tecnica di incisione a punta smussata – compatibile con le pratiche del tempo -, di alcuni caratteri usati soltanto all’epoca e dello stile di scrittura, identificato come tipico zhuanshu dell’era Qin. Nel quale l’iscrizione documenta l’invio sui Monti Kunlun da parte del primo imperatore della Cina unificata, Qinshihuang (lo stesso dell’Esercito di Terracotta), di un alto funzionario di nome Yi alla guida di alcuni alchimisti con il compito di raccogliere erbe medicinali.
Oltre agli archeologi, la ricerca ha coinvolto dunque storici, linguisti, epigrafisti e – beninteso – geologi. Che, attraverso lo studio della composizione della roccia (compresi i segni nel tempo dei fenomeni atmosferici e delle temperature), potessero confermare la datazione ed escludere l’ipotesi di un’incisione moderna. E che hanno dimostrato che le buone condizioni dell’iscrizione siano da attribuire all’arenaria quarzosa – durevole e molto resistente agli agenti climatici e alle abrasioni.
Si tratta dell’unico reperto di questo tipo scoperto finora nella sua posizione originale, e che potrebbe fornire delle informazioni preziose su una Montagna considerata come “l’antenato” di tutte le altre. Anche perché la roccia si trova nelle vicinanze della sorgente del Fiume Giallo, cioè proprio dove un dizionario cinese del III secolo A.E.V. indica l’origine del corso d’acqua chiamato “la culla” della propria civiltà.
Il lavoro promette di continuare, laddove – in un raggio di 150 chilometri dalla roccia – sono venuti alla luce altri 75 reperti archeologici, risalenti al Paleolitico. Infatti, dalle strutture di monitoraggio alle vie di accesso, la protezione del sito archeologico è già attiva. Sul modello inaugurato nel 2023 per le migliaia di grotte e di templi buddhisti nella roccia, mirabili testimoni del sincretismo indo-sino-tibetano e che – dagli Stati Uniti al Giappone passando, appunto, per l’India – vede la collaborazione di oltre 10 Paesi. Tutti impegnati a difendere e preservare, anche dagli effetti del cambiamento climatico, l’enorme patrimonio storico e culturale della regione.
Come dicevamo a luglio: cosa vedere nel Tibet? La lista si allunga.