
La Capitale spirituale del Tibet inserita tra le Città “umide” di eccellenza ambientale nel mondo
Grande emozione a Victoria Falls (Zimbabwe), in chiusura della Conferenza COP15, per l’annuncio di questo importantissimo riconoscimento nato con la Convenzione di Ramsar del 1971 e che vede circa il 90% dei Paesi ONU insieme nella conservazione delle cosiddette “zone umide” del pianeta – vitali sia per gli esseri umani, sia per l’ambiente e la biodiversità.

L’inclusione di Lhasa tra le Città di eccellenza premia gli sforzi fatti soprattutto nella Lhalu Wetland, spesso chiamata “i polmoni di Lhasa”. Una Riserva naturale di circa 6,25 chilometri quadri subito a nord del Palazzo del Potala e che gioca un ruolo fondamentale nella preservazione delle acque, dell’aria e della biodiversità: il più alto (a 3645 metri di altitudine) e grande Parco – anche umido – urbano al mondo. Pensato nel 1994 dall’allora sindaco di Lhasa e protetto a livello nazionale dal 2005.

Parliamo di invasi d’acqua nei quali, con la crescita delle prime canne, la biomassa si era accumulata formando della torba. Che a sua volta, nel tempo, aveva nutrito l’erba e i fiori, creando un habitat perfetto per gli uccelli acquatici – locali stanziali e migratori –, i piccoli mammiferi e (occasionalmente) le volpi tibetane su un’area iniziale di circa 10 chilometri quadri. Nei secoli, con il progressivo sviluppo della Città (compresa la costruzione stessa del Potala e del Palazzo Norbulingka), l’area umida tra i Monti Gangdise e il fiume Lhasa si era ridotta. E questo stava avendo delle conseguenze anche sulla qualità dell’aria, laddove le acque riuscivano a captare circa 5,500 di tonnellate di sabbia durante le tempeste. Così, con l’aiuto di un operatore ambientale cinese specializzatosi negli Stati Uniti e integrando l’esperienza americana in materia, la Giunta cittadina di Lhasa ha optato per la protezione – sia come status, sia come azioni da intraprendere.

Dall’ordinanza formale del 2010, il neo Parco è stato diviso in tre aree: una centrale di 155 ettari, sotto protezione stretta; una “cuscinetto”, di 221 ettari, alla quale si può accedere per ragioni educative e di ricerca; infine, una da 339 ettari aperta al pubblico. E, grazie al lavoro fatto in questi anni, Lhalu ospita oggi 21 specie di piante piccole, più di 300 di piante alte, 101 tipi di insetti, 43 di animali selvatici terrestri e più di 30 acquatici. Comprese alcune specie rare e pertanto protette a livello nazionale come la Gru dal collo nero, l’Avvoltoio, il Germano Reale, il Moriglione comune (anatra tuffatrice), l’Oca dalla testa barrata, il Gabbiano dalla testa marrone, il Sandgrouse tibetano e l’Allodola.

Non solo: annualmente, la zona umida di Lhalu genera 53,700 tonnellate di ossigeno e assorbe 78,800 tonnellate di CO2, svolgendo un ruolo vitale nella regolazione del clima locale, la qualità ecologica locale, il mantenimento delle acque sotterranee, il filtraggio delle acque reflue, l’equilibrio ecologico e anche la bellezza della Città “luogo degli Dei”. Soprattutto da giugno a ottobre, quando i colori della vegetazione garantiscono un’esperienza davvero indimenticabile.
