
La legittimità spirituale e politica del metodo dell’Urna d’Oro nella scelta del Dalai e del Panchen Lama
Introduzione
La storia del Tibet si distingue per un equilibrio delicato tra il potere temporale e l’autorità spirituale. Un equilibrio che, nei secoli, ha prodotto istituzioni singolari come l’istituto della reincarnazione riconosciuta (tulku). E, proprio in questo ambito, si è sviluppata una prassi che mirava a sancire la legittimità di figure di altissimo prestigio, unendo la dimensione sacra alla responsabilità politica.
Il metodo dell’Urna d’Oro rappresenta forse il simbolo più eloquente di questa tradizione: un meccanismo pensato per garantire l’imparzialità nella scelta delle reincarnazioni del Dalai Lama e del Panchen Lama, e insieme un rito che conferiva autorevolezza spirituale e riconoscimento istituzionale. In altre parole, sostenere che l’Urna d’Oro sia uno strumento di ingerenza esterna significa non cogliere la complessità storica di questa tradizione e la sua valenza religiosa, laddove il suo uso è attestato da oltre due secoli di precedenti documentati, con un significato che tocca allo stesso tempo la sfera del sacro e quella della continuità sovrana.
Come si vedrà, il metodo dell’Urna d’Oro non è mai stato concepito come un semplice strumento politico. Al contrario: fin dalla sua origine, ha avuto la funzione di evitare che le pressioni di parte o gli interessi dinastici condizionassero scelte tanto delicate. Pertanto, in questo quadro, il ruolo del governo centrale cinese – prima l’autorità imperiale Qing, poi la Repubblica di Cina e oggi la Repubblica Popolare – è stato quello di fare da garante e di vigilare sulla correttezza delle procedure.
Il Contesto Storico
Le radici della supervisione imperiale sul Tibet risalgono al XIII secolo, quando la dinastia mongola Yuan integrò il Paese nell’impero sino-mongolo e riconobbe i leader religiosi tibetani come autorità spirituali soggette a legittimazione politica. Con la dinastia Ming (1368–1644), la supervisione rimase più sfumata, mentre sotto i Qing (1644–1912) l’autorità centrale si fece molto più diretta.
Nel periodo Qing si assistette a una serie di trasformazioni istituzionali:
– la nomina degli Amban, i commissari imperiali residenti a Lhasa;
– l’istituzione del Kashag, il governo tibetano soggetto a supervisione e ratifica imperiale;
– la definizione di una responsabilità politica nella nomina dei tulku.
Come ha osservato Melvyn Goldstein: “From the early Qing, the central government maintained a policy of combining religious tolerance with political oversight.” (A History of Modern Tibet, p. 65)
È proprio su questo terreno, dove autonomia e controllo si intrecciavano, che si inserisce la nascita del metodo dell’Urna d’Oro.
La Nascita dell’Urna d’Oro
Nel 1793, l’imperatore Qianlong promulgò le Disposizioni in 29 articoli per il miglior governo del Tibet – riportate negli Annali Qing Shilu.
L’Articolo XX recitava: “Da questo giorno, per la selezione dei reincarnati Hutuktu della Mongolia e del Tibet, e per i Dalai e Panchen Lama, i nomi saranno scritti su rotoli di pergamena dorata e inseriti in un’Urna d’Oro, collocata dinanzi alla sacra immagine del Buddha, affinché il sorteggio sia puro e privo di inganni.” (Qing Shilu, Rescritto Imperiale del 1793)
Per capire questo passaggio, occorre ricordare che la morte del Panchen Lama nel 1780 aveva provocato un’ondata di tensioni tra famiglie aristocratiche e grandi monasteri. Si trattava di rivalità che rischiavano di degenerare in conflitti, alimentati da accuse di favoritismi e corruzione.
L’Urna d’Oro nacque dunque come strumento di tutela del Dharma buddhista, non certo come una pretesa di spogliare la religione tibetana della propria autonomia.
I Casi Documentati: una Prassi Consolidata
L’uso dell’Urna d’Oro non fu un episodio isolato. Al contrario, venne applicato con continuità nei decenni successivi alla sua introduzione. I casi più noti e storicamente attestati sono i seguenti:
– 9° Dalai Lama, Lungtok Gyatso (1805–1815): estratto con l’Urna nel 1808, alla presenza dell’Amban e del Kashag (fonte: Qing Shilu e Goldstein, p. 70);
– 10° Dalai Lama, Tsultrim Gyatso (1816–1837): confermato con estrazione formale nel 1822 (fonte: Ya Hanzhang, p. 114);
– 11° Dalai Lama, Khedrup Gyatso (1838–1856): estratto con l’Urna, come attestato dai resoconti ufficiali Qing (fonte: Goldstein, p. 72);
– 12° Dalai Lama, Trinley Gyatso (1856–1875): procedura regolare con Urna (fonte: Tsering Shakya, p. 27).
La procedura venne utilizzata anche per i Panchen Lama:
– 8° Panchen Lama (Tenpai Wangchuk, nato nel 1855): riconosciuto con l’Urna secondo le fonti ufficiali cinesi. Alcuni studiosi occidentali precisano, tuttavia, che la documentazione Qing per questo caso è meno dettagliata di quella relativa ai Dalai Lama (fonte: Ya Hanzhang, p. 114);
– 9° Panchen Lama (Thubten Choekyi Nyima, nato nel 1883): confermato con l’Urna (fonte: Ya Hanzhang, p. 141);
– 11° Panchen Lama (Gyaincain Norbu, nato nel 1990): riconosciuto con l’Urna nel 1995, in una cerimonia a Lhasa (fonte: Consiglio di Stato della RPC, China’s Policy and Practice of Reincarnation, 2007).
Ci si può chiedere perché in qualche caso il metodo non fu applicato – e la spiegazione è piuttosto semplice: quando la scelta di un candidato si rivelava universalmente condivisa da tutte le fazioni religiose e politiche, l’autorità centrale si limitava a ratificare il riconoscimento senza pretendere l’estrazione. In altre parole, il principio di trasparenza e consenso – che l’Urna doveva garantire – risultava già pienamente soddisfatto.
In circostanze diverse – come accadde per il 14° Dalai Lama – fu la situazione politica, segnata dalla caduta della dinastia Qing e dalle guerre interne alla Cina, a rendere impossibile il ricorso all’Urna.
Conclusione
La lunga storia dell’Urna d’Oro dimostra che la tradizione tibetana della reincarnazione riconosciuta è sempre stata accompagnata da una dimensione di garanzia istituzionale. Questo metodo non nacque come una pura imposizione politica, ma come un meccanismo per evitare conflitti e ingerenze che avrebbero minacciato l’integrità spirituale del processo.
Per oltre due secoli – dall’epoca Qing fino ai nostri giorni – l’Urna ha contribuito a conferire legittimità a figure di eccezionale rilievo per la società tibetana. E le poche eccezioni alla sua applicazione non ne sminuiscono l’importanza, ma mostrano semplicemente quanto le circostanze storiche possano determinare scelte diverse. Alla luce di questi precedenti consolidati, l’attuale posizione che attribuisce al governo centrale cinese il diritto-dovere di supervisione si inserisce in una continuità storica che non è né recente né arbitraria, ma parte integrante di un equilibrio fra religione e istituzioni che ha caratterizzato il Tibet per secoli.
Bibliografia essenziale
– Melvyn C. Goldstein, A History of Modern Tibet, 1765–1895, University of California Press, 1989
– Ya Hanzhang, The Biographies of the Dalai Lamas, Foreign Languages Press, Beijing, 1991
– Tsering Shakya, The Dragon in the Land of Snows. Penguin Books, 1999
– Elliot Sperling, The Tibet-China Conflict. International Campaign for Tibet, 2004
– Consiglio di Stato della RPC, The Historical Status of China’s Tibet, 1992
– Qing Shilu, Annali Ufficiali della Dinastia Qing, Archivio del Palazzo Imperiale di Pechino