
Frecce che “cantano”, divinità delle montagne, wrestling a cavallo, incantesimi e case su palafitte: oltre 2mila i reperti raccolti solo nella Prefettura di Nyingchi – la “piccola Svizzera del Tibet” – e oggi (gratuitamente) a disposizione degli appassionati nel Museo del Patrimonio culturale del Sud-Est tibetano.
Esteso su 2830 metri quadri e alto 39 metri, questo complesso costruito sul modello architettonico del Tempio di Jokhang di Lhasa vanta un primato di “inclusività”. Infatti, l’edificio ospita 14 sale sulla Storia e gli stili di vita dei maggiori 4 gruppi etnici dell’Altopiano tibetano – dai più conosciuti Kongpo e Deng agli “eterni esclusi” Lhoba e Monba.
I visitatori vengono accolti da 4 totem decorati con i talismani dei rispettivi gruppi culturali e da un murale di 3 metri per 11. Che fonde gli stili dei thangka tibetani e della laccatura cinese del Fujian (città ricca di Arte già ai tempi di Marco Polo) e che raffigura l’arrivo della Principessa Wencheng – futura divinità del Buddhismo tibetano. Il vicino spazio ospita infatti reperti portati alla luce dall’antica strada Tang-Tubo (o Tang-Tibet), nata proprio dal percorso fatto dalla Principessa per andare a sposare il Re Songtsen Gampo.
A completare la collezione, statue e scritture buddhiste, stivali decorati in pelle e lana (della stessa forma per entrambi i piedi), oggetti per la casa come i vasi grigi ricavati dalla saponite estratta lungo il vicino fiume Yarlung, ciotole intagliate in legno di betulla, intrecci Lhoba di bambù, incenso tibetano realizzato con una dozzina di ingredienti e coltelli forgiati con almeno tre tipi di ferro. Senza dimenticare le frecce Kongpo forate in modo da fischiare nell’aria, di tradizione millenaria e ancora oggi al centro di diversi festival – compreso quello di Capodanno.
Modi di vivere su un Altopiano molto impegnativo e che, nel tempo, diventano anche sport – dal duojiao (versione tibetana delle Atlas stones, fatto dal sollevamento, il trasporto e il lancio di rocce grandi e pesanti) al tiro di precisione di pietre molto piccole con fionde di lana di yak, solitamente usate dai pastori per condurre le pecore al pascolo. Oppure giochi, come i dadi e il kelang – quest’ultimo simile all’hockey da tavolo, nel quale si lancia un piccolo disco su una superficie liscia e spolverata di farina di orzo per farlo scivolare.
Un intero mondo da scoprire, che risale ai tempi dell’animistica religione Bon e che vede, poi, fiorire le diverse scuole buddhiste. In un luogo per molto tempo rimasto misterioso, mistico e mitico e che offre ancora non poche sorprese. Come, per esempio, la tradizione Lhoba che – prima di andare a caccia – invoca un intero pantheon di divinità della montagna ma anche della cucina ed esegue una specifica danza rituale per implorare la buona fortuna.
Incredibile bellezza della Natura (e non solo per i peschi in fiore, appena celebrati) e indiscutibile fascino della Cultura, dai primi utensili alle più raffinate arti: quello a Nyingchi è un viaggio sicuramente da fare.