
C’è una ragione se il cuore sacro del Tibet si chiama così, e se attira pellegrini e visitatori da ogni angolo del pianeta, alla ricerca del mondo al di là del nostro. Perché, a Lhasa, il cielo si estende e il Sole splende così tanto che sembra che la volta celeste sia stata calata appena abbastanza da essere raggiunta. L’aria rarefatta e densa di incenso, il fruscio delle vesti cremisi dei monaci, il mormorio dei sutra cantati e il suono delle ruote di preghiera… La divinità non è lontana: tocca ogni passo e ogni testa china.
Il Potala
I suoi Palazzi, rosso e bianco, brillano come un mitico bastione diventato realtà. Da secoli mèta di pellegrini che – dopo migliaia di chilometri – s’inginocchiano ogni pochi passi e scivolano in avanti, su assi di legno che scricchiolano mentre ci s’inchina a terra. Per poi scoprire e ammirare i 100mila manufatti in migliaia di stanze, in un’aria impregnata dal fumo dei bastoncini d’incenso che accompagna le preghiere verso il Cielo.
Il Palazzo Norbulingka
Non a caso, “Giardino del Tesoro”. Costruito a metà del 1700 come residenza estiva del settimo Dalai Lama e, da allora, dimora di oltre 100 varietà di piante – comprese alcune himalayane rare. Un luogo incantato che, ogni anno, ospita il festival di Opera tradizionale tibetana durante la festa dello Shoton, accogliendo sotto un’enorme tenda residenti e visitatori e invitandoli a unirsi alle danze roteanti.
La Via Barkhor
Un “labirinto vivente” dell’essenza dell’Altopiano, che – con le sue intricate stradine laterali – da più di 1300 anni crea come un percorso assieme laico e spirituale. La cui architettura tradizionale ospita ben 20 gruppi etnici (a partire da quelli tibetani, Han, mongoli e Hui). E i cui negozi sono pieni di ogni Arte e mestiere antico, dai thangka e le lampade al burro all’incenso tradizionale, creato artigianalmente con decine di ingredienti del posto.
Il Tempio di Jokhang
Ancora più antico, perché «Prima fu costruito Jokhang, poi nacque Lhasa». Ai tempi del re Songtsen Gampo, che un giorno lanciò il suo anello giurando di costruire un tempio là dove fosse caduto – cioè, in un lago dal quale si ergeva uno stupa bianco. “Cuore pulsante” di Lhasa, a esercitare come un’attrazione gravitazionale che trascina i pellegrini mentre – su un sentiero di un chilometro, risalente a 1.300 anni fa – ne circumambulano il nucleo sacro. Dove si trova la venerata statua del Buddha dormiente, portata qui dalla Principessa Wencheng, e dove avviene la cerimonia dell’Urna d’Oro per l’estrazione e la conferma della giusta reincarnazione del Dalai e del Panchen Lama.
Il Monastero di Sera
Famoso per i monaci che battono i palmi nel cortile ma che non stanno applaudendo: stanno discutendo. Nel cortile di uno dei 3 grandi monasteri universitari Gelug, che vede i dibatti come parte della tradizione accademica. E dove il gesto di battere con una certa “drammaticità” (e, dunque, suono) la mano destra sulla sinistra tesa è usato per contestare un’argomentazione, enfatizzare una domanda o dichiarare l’inizio di una proposizione mettendo a fuoco l’attenzione. Da qui la potenza di questo “spettacolo unico al mondo”, che – come attrattività – supera di gran lunga il fascino delle Cappelle e delle opere ospitate.
Il Museo Tibetano
Ricco di statue di Buddha, realizzate con ogni tecnica; di antichi libri tibetani, con incisioni in oro, argento e corallo; di thangka e di altri oggetti di Arte e artigianato ma anche di mostre temporanee e permanenti, che permettono ai visitatori di esplorare la vastità della Regione prima di avventurarsi oltre le mura.
L’anfiteatro del Potala
Un piccolo “gemello” di fronte al Palazzo, dove ogni sera più di 500 di artisti raccontano la storia della Principessa cinese Wencheng e del suo viaggio per sposare il re tibetano Songtsen Gampo. Una produzione epica in tutti i sensi, che fonde tradizione e scenografia all’avanguardia e che si sviluppa in cinque atti: “Il fascino dell’antica dinastia Tang”, “La musica buddista del Cielo e della Terra”, “La grande bellezza della danza tibetana”, “Il Dio dell’Altopiano” e “La bellezza armoniosa tra tibetani e Han”.
Il Parco di Nanshan
Dove, all’alba e al tramonto, le vette della montagna diventano i “cavalletti” della città – attirando decine di pittori e fotografi. Dove il Potala risplende nel vicino orizzonte e il suo riflesso vibra sulle increspature del fiume Lhasa. E dove i pendii, un tempo aridi e giallastri, sono oggi una foresta di cedri, pini e abeti rossi: un milione di nuovi alberi che si contendono la luce del Sole, applaudono la brezza e sventolano le loro foglie come le bandierine di preghiera.
Il lago Yamdrok Yumtso
Uscendo da Lhasa, a un paio di ore di macchina, un altro gioiello della Natura: uno dei 4 laghi sacri tibetani – che gli abitanti chiamano “gli orecchini di turchese disseminati da una Dea”, “lago di diaspro sopra le praterie”, “lago dei cigni” o “il lago più bello del mondo”. Una distesa scintillante di quasi 340 chilometri quadrati a oltre 4mila metri, che nessun punto di osservazione terrestre permette di ammirare nella sua interezza. Ma ricco di ghiacciai, sorgenti termali, isole e templi, tra le montagne che si innalzano per oltre 7mila metri.
Lhasa, la città tra due mondi: uno umano e uno elisio, elevato dalla fede. Un luogo nel quale Cielo e Terra s’incontrano, e il divino appare così vicino che si può allungare la mano e toccarlo. Molti ci provano. Alcuni ci riescono.