L’ARTE DEL “PERIODO  TUBO” DA VICINO, LA FINEZZA DELL’OROFICERIA TIBETANA, Mirabile Tibet

L’ARTE DEL “PERIODO TUBO” DA VICINO, LA FINEZZA DELL’OROFICERIA TIBETANA

  • by Redazione
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  • 25 Mag 2020
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Le popolazioni d’etnia tibetana che vivevano sull’Altipiano del Qinghai-Tibet durante il Periodo Tubo (VII-X sec.) erano conosciute non solamente per l’abilità e il coraggio guerriero a cavallo ma anche per la loro potente creatività e ricca immaginazione. Nell’arte del Periodo Tubo possiamo trovare artefatti estremamente raffinati; ad esempio quelli recentemente ritrovati tra esempi di oreficeria in oro ed argento arricchiti da schemi decorativi estremamente ricchi e colorati, con forme varie e delicate e profonde connotazioni estetico-storiche ed estetico-religiose.

Creature alate sbalzate nell’oro figurano preponderantemente in diversi esemplari, specie se essi sono attrezzi collegati con la cura quotidiana degli equini. In particolare possono venire riconosciute due principali categorie di ornamenti: quelli a forma di divinità alate in forma di uccello e quelli di divinità, parimenti alate ma ispirate nella forma a diverse tipologie animali.

Come esempio del primo tipo si può considerare una bottiglia d’argento del Periodo Tubo che è stata istoriata con le sagome di due “Déi-Uccello”. Uno dei due ha una strana forma che quasi annienta il concetto di “Uccello”, essa mostra infatti corna sulla testa, simili a quelle di un montone e una mascella simile a quella di un drago, dalla cui mandibola spuntano lunghi denti.

La forma completa della creatura somiglia a quella di un uccello, con le ali aperte come se stesse per atterrare dopo un lungo volo. Un altro volatile-divino è effigiato sul lato opposto del contenitore d’argento.
La più grande differenza è che esso non mostra corna da montone sulla testa, avendone di molto più piccole, né ha una mascella da drago; la sua testa è piegata all’indietro con la mascella superiore aperta. Il collo è lungo e arcuato, mentre le ali sono molto piccole ed abbassate, la coda si separa, biforcandosi e l’intera figura sembra in procinto di decollare, invece che di atterrare come la precedente.
Le figure sembrano collegate, connesse tra loro proprio attraverso la differenza di dettagli e di atteggiamento, Da un punto di vista estetico ed artistico questi due “volatili divini” mostrano una cura peculiare profusa dall’artigiano nella loro realizzazione, con una miscela di tratti differenti che rimandano a differenti creature (montone, drago, volatili). Lo sfondo su cui sono collocati comprende raffigurazioni di erba e vegetazione, realizzati con tratti ora ‘morbidi’ ora ‘duri’.

L’artefatto è peculiare nella maniera in cui integra l’apparente ‘vuoto’ del Reame Divino con la ricchezza di dettagli tipica del mondo reale. Esso incarna gli skill raffinati e l’immaginazione feconda della persona che l’ha realizzato, con la piena forza d’un ideologia romantica e gli sforzi a un contempo ‘raffinati’ ma anche ‘esagerati’ tipici dell’artigianato del Periodo Tubo.
Passiamo al secondo tipo di “Divinità Alate”: esse erano raffigurate più spesso sugli implementi dedicati ai cavalli o sugli utensili domestici mediante schemi decorativi a bassorilievo sulle loro superfici principali.

Tra queste creature le più tipiche sono divinità alate con grandi corna, che appaiono ad esempio su selle, dove oro ed argento erano usati per decorare e istoriare superfici lignee.
E’ stato stimato che elementi in turchese o in altre pietre dure semi-preziose corredassero simili decorazioni, anche se ora essi mancano e al loro posto troviamo solo gli incavi in cui si pensa che fossero collocati.

La cima e il fondo delle decorazioni auree mostrano incisioni decorative che rappresentano erba e fiori su un lato e nuvole sull’altro, mentre al centro della scena troneggiano, rampanti, le due “bestie divine”: una è a quattro zampe, con lunghe corna arcuate che partono dalla sua testa e una fitta, folta criniera sul collo, apparentemente mostrando elementi equini nella sua figura, anche se misti con altri. Subito dietro appare la seconda, anch’essa simile in parte a un cavallo grazie alla coda e alla criniera fluenti e agli zoccoli che sembra avere in fondo agli arti. La coda pare alzata verso l’alto e sulla testa e sulla schiena possiamo vedere rispettivamente piccole corna ed ali spiegate, che mostrano pienamente la natura divina e leggendaria della creatura in questione.

Come interpretiamo queste figure? Non vi è dubbio che esse devono venire identificate con esseri divini; le popolazioni Tubo, raffigurandoli sugli utensili usati per la cura dei cavalli affermavano la loro devozione religiosa ma anche il loro profondo collegamento con la steppa eurasiatica. Affascinante è il parallelismo che si può tracciare tra queste figure e certi ‘mostri alati’ presenti in altre culture del continente, come quella mesopotamica e persino quella greca.

Per esempio in una Necropoli afgana vennero ritrovati grandi quantitativi di artefatti in oro e argento che mostravano chiaramente influssi estetici della cultura delle steppe, ma anche influenze greche, rapportabili al periodo alessandrino e all’influsso ellenistico sulla Persia seleucide.

In particolare venne trovata una statua femminile che rispondeva in pieno alle raffigurazioni estetiche dell’Afrodite greco-alessandrina, che tuttavia aveva ricevuto, dalla cultura delle steppe asiatiche, un paio di ali e perciò, unendo i nomi originari di ciascuna cultura, venne identificata dai suoi scopritori come “Afrodite-Daxia”.