DA LHASA AD ULAN BATOR: LA STORIA DEL  BUDDHISMO OLTRE I CONFINI DEL TIBET, Mirabile Tibet

DA LHASA AD ULAN BATOR: LA STORIA DEL  BUDDHISMO OLTRE I CONFINI DEL TIBET

Ulan Bator, capitale della Mongolia. Ogni giorno tantissimi fedeli bussano alle porte del Monastero Gandantegchenling, uno dei luoghi di culto più importanti del Paese. Sempre nella capitale mongola troviamo il Dambadarjaalin Monastery, che, visto dall’esterno, tutto potrebbe essere tranne che un monastero, se non fosse per gli stupa qui eretti.  Il Dambadarjaalin Monastery, di primo acchito potrebbe sembrare un accampamento di nomadi mongoli, dato le yurte qui presenti, invece no.

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Tra una statua di Buddha ed una tenda, è possibile qui incontrare i famosi “monaci cavalieri”, monaci buddhisti a tutti gli effetti che tuttavia non hanno mai abbandonato le loro radici mongole e l’amore per i cavalli. Una scena questa che viene condivisa centinaia di chilometri più a sud, in territorio cinese, a cavallo tra la provincia semi desertica del Gansu e della Mongolia Interna – entrambe abitate da cittadini di etnia mongola – dove è possibile trovare numerosi monasteri buddhisti. 

DA LHASA ALLA MONGOLIA SEGUENDO LE VIE COMMERCIALI

Da qui la domanda: qual’è il nesso con il Tibet? Il mistero è presto svelato: In Mongolia come nelle due provincie cinesi sopracitate, si pratica esclusivamente il Buddhismo tibetano, e per l’esattezza la setta dei Berretti Gialli (o scuola Gelug) che nel corso della storia, seguendo anche le vie commerciali e carovaniere, attraverso le province del Sichuan e Shaanxi è infine arrivato alla corte mongola. 

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Eppure la diffusione della scuola Gelug non solo in Tibet, ma anche in tutta la Cina. deve molto ai mongoli e alla dinastia Yuan. Ma riavvolgiamo il nastro e partiamo dal principio. Non è noto sapere quando il buddhismo arrivò nella regione, dato che scarseggiano i documenti, ma sicuramente vi arrivò in tempi antichi. Nonostante la religione locale fosse d’influenza sciamanica, i monasteri buddhisti diventarono dei veri e propri centri di potere politico-amministrativo a livello locale. Venendo più direttamente alla diffusione del culto tibetano, fondamentale fu l’operato di Gengis Khan. Le cronache cinesi ci tramandano che il Gran Khan in persona si interessò al buddhismo tibetano, non tanto per fede, quanto piuttosto perché fiutò nella religione dei Lama un potente mezzo che lo avrebbe portato a conquistare il più vasto impero della storia umana. 

L’ARRIVO DEI MONGOLI E LA DINASTIA YUAN

In ogni caso Gengis Khan si mostrò nei confronti del popolo tibetano e dei suoi capi religiosi una benevolenza inusuale, lasciando molta libertà rispetto al pugno di ferro cui era solito sottoporre i popoli vinti. Negli anni a venire, anche i successori del grande conquistatore non fermarono l’opera di avvicinamento al buddhismo. E’ noto che Ogoday, terzogenito di Gengis Khan, una volta divenuto Gran Khan dei mongoli invitò a più riprese alla sua corte di Kharakhorum molti chierici tibetani.

Godan, figlio di Ogoday, nel 1244 invitò il religioso tibetano con l’intento di farsi guarire da lui da una pericolosa malattia. Sotto il dominio del Khan Guyuk sarebbero giunti a corte alcuni rappresentanti dell’ordine karmapa, ma nonostante questi episodi, sotto i primi successori di Gengis Khan il clero buddhista non acquisì una posizione realmente egemonica. 

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La situazione non cambierà che sotto l’imperatore Khubilai. Dopo aver instaurato la dinastia degli Yuan, Kubilai sposterà la sua capitale nella Cina continentale fu lì che nel 1261 convocò il nipote di Sakya Pandita, Phagpa, che elesse suo maestro e dal quale si fece conferire le consacrazioni rituali. Tra il Khan ed il religioso tibetano nacquero in seguito alcuni attriti, che vennero però sanati dalla mediazione dell’imperatrice, tanto che Khubilai nominò Phagpa capo supremo del clero, conferendogli il titolo di “Maestro dell’imperatore, Re delle grande e preziosa dottrina, Degnissimo Lama e re della dottrina dei tre paesi”. Il Gran Khan fece inoltre erigere, in quella che diverrà Pechino, una serie di monasteri.

Anche i successori di Khubilai continueranno a distribuire favori ai religiosi buddhisti, ma la conversione riguarderà in quel primo tempo solo i khan e parte della loro corte, mentre il popolo continuerà in prevalenza a seguire l’ancestrale credo sciamanico. Nel 1368, l’ultimo imperatore mongolo Toghon Temur fu cacciato dalla sua capitale con tutto l’esercito mongolo, e i nuovi imperatori cinesi non poterono che vedere con diffidenza i culti introdotti dai mongoli. Con l’avvento della dinastia Ming, il buddhismo tibetano, almeno nella prima parte del loro regno, godette di alterna fortuna.