L’ISLAM IN TIBET: LA STORIA DELL’ETNIA HUI, Mirabile Tibet

L’ISLAM IN TIBET: LA STORIA DELL’ETNIA HUI

  • by Redazione
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  • 29 Dic 2020
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Quando si pensa all’Islam in Estremo Oriente la maggior parte delle persone tende ad associare questa religione agli Uiguri dello Xinjiang, provincia cinese che da sola contiene una quantità di praticanti musulmani superiori a tutta l’Unione Europea. Eppure sempre in Cina esiste una etnia di tradizione islamica assai più numerosa degli Uiguri, ovvero la popolazione Hui, che comprende circa 11 milioni di persone. 

Gli Hui costituiscono una delle 56 etnie riconosciute della Repubblica Popolare Cinese. La cultura degli Hui è marcatamente islamica, tanto che molti di loro decidono di andare anche in pellegrinaggio a La Mecca, luogo sacro per eccellenza di ogni fedele del Corano. Senza contare che tra le caratteristiche della loro cultura c’è l’astensione dal consumo di carne di maiale, uno degli alimenti più consumati dai cinesi, come anche l’osservazione del Ramadam da parte dei musulmani osservanti.

Eppure gli Hui hanno fatto nascere in Cina una cultura che dalla cucina all’artigianato è riuscita a fondere fede islamica e cultura cinese ed al giorno d’oggi,  se non fosse per il loro vestiario (come l’utilizzo del copricapo bianco) gli Hui sono praticamente indistinguibili dai cinesi Han, dal punto di vista razziale e linguistico. I loro antenati infatti erano primariamente mercanti centrasiatici, arabi e persiani sulla Via della Seta e si sposavano abitualmente con cinesi locali. Non  è quindi un caso che i principali luoghi di culto della popolazione Hui si trovano nella provincia di Gansu, a Linxia, dove la tradizione Sufi è molto vivace. Tuttavia, a differenza degli Uighuri, gli Hui non sono concentrati in una regione (per quanto nella Regione Autonoma del Ningxia-Hui, come riporta il nome, sia dedicata a loro) ma sono sparpagliati un pò in tutto il Paese. Un significativo numero di Hui vive anche a Beijing, senza contare Xi’an, l’antica capitale Chang’an, che era il punto di arrivo della Via della Seta. 

Tra i luoghi dove gli Hui risiedono ci sono anche quelli di cultura tibetana, da non confonderli tuttavia con i tibetani musulmani, che nella classificazione cinese dei gruppi etnici sono considerati parte del gruppo etnico tibetano, mentre gli hui possiedono un riconoscimento proprio. I rapporti tra hui e tibetani sono però storicamente stati caratterizzati da conflitti etnici e culturali. Da citare sono i conflitti avvenuti nel contesto della ribellioni di Golok (1917-1949) e della Guerra Sino-Tibetana (1930-1932). 

Entrambi i conflitti videro come protagonisti la cosiddetta Cricca Ma, un gruppo di signori della guerra di etnia Hui che governarono le provincie di Qinghai, Gansu e Ningxia, per 10 anni dal 1919 al 1928. Questi signori della guerra erano tutti generali dell’esercito della Repubblica di Cina. I quattro Ma – ovvero i quattro membri più importanti di questa cerchia – erano  Ma Bufang, Ma Hongkui, Ma Hongbin e Ma Buqing. 

Dal valore particolarmente simbolico per i tibetani fu l’occupazione da parte di questi generali del monastero di Labrang nel 1917. La loro ferocia venne descritta persino dall’esploratore occidentale Joseph Rock, che nelle sue memorie raccontò di come l’armata dei Ma lasciò dispersi i corpi dei tibetani per un’area molto vasta, e decorarono il monastero di Labrang con le teste dei tibetani uccisi. 

Tra i membri della cricca Ma, Ma Bufang fu il più importante e divenne a fine carriera l’ambasciatore del Kuomintang presso l’Arabia Saudita. Il rapporto tra Ma Bufang ed i tibetani fu molto conflittuale. Tra i suoi successi militari più importanti, egli sconfisse l’esercito tibetano del tredicesimo Dalai Lama quando questi cercò di invadere la provincia del Qinghai. 

Questi conflitti sono stati pacificati nel contesto della Repubblica Popolare Cinese, tuttavia le vecchie tensioni a volte ancora oggi tornano a galla. Nelle proteste illegali del 2008 avvenute in Tibet, ad esempio, i tibetani si sono infatti rivolti anche contro gli Hui musulmani. Vennero attaccati e bruciati ristoranti e negozi islamici, e venne addirittura bruciata la Moschea di Lhasa.  Come conseguenza di queste violenze, molti musulmani in Tibet hanno iniziato a nascondere la propria identità religiosa.